Il concilio Vaticano II non si è limitato a proporre quel che era stato già definito o indicato in precedenza ma ha riletto questo mistero fondamentale di Maria in un contesto dottrinale più ampio dell’intera missione della Vergine. Con l’interpretazione del consenso di Maria all’Annunciazione, il Vaticano II mette in rilievo che quel consenso è dato in piena libertà e coscienza ed esprime un impegno responsabile davanti all’invito divino ad un servizio totale a Cristo e alla sua opera salvatrice (costituzione Lumen Gentium 53.56).
I padri conciliari hanno voluto proporre una sintesi nuova e approfondita della dottrina. Con i due paragrafi originali (LG 63-64), il Vaticano II dichiara, sulla scia di Sant’Ambrogio, che Maria è una figura («typos») della Chiesa nella maternità verginale. Il concilio vuole dire che non è semplicemente madre e vergine, ma che anche la Chiesa è madre e vergine e che la maternità di Maria è l’immagine di quella della Chiesa.
Lo sviluppo di questa idea può condurre, senza temere di tradire il concilio, a concludere che l’evento salvifico della maternità verginale divina non può considerarsi solo come un evento appartenente al passato e che ha riguardato solo Maria, ma che è una realtà che si rinnova in ogni istante della salvezza operata dalla Chiesa che vive la maternità verginale.
Tuttavia, è chiaro che il tipo di generazione con il quale Cristo è nato dalla Vergine e quello con il quale continua a nascere dalla Chiesa sono di natura e modalità differenti. Ma quel che importa più di tutto in questo aspetto della dottrina del Vaticano II è che per la teologia si apre una nuova strada di approfondimento: la maternità divina non solo stabilisce un rapporto tra Cristo e Maria, ma anche una relazione intima tra la Chiesa e Maria allargando il senso della maternità divina al campo più vasto di tutta la storia della salvezza.
Tratto da: S.MEO. "Madre di Dio", In : Nuovo dizionario di mariologia, a cura di de Fiores, ed. san Paolo 1985, pp. 739-741.